Il popolo degli aeroporti e dei treni in ritardo
C’è chi, a dicembre, entra in modalità Natale con metodo.
I regali comprati con anticipo.
Il menù deciso settimane prima.
Le cene da noi, le cene da voi, le cene dai parenti, gli appuntamenti in città.
Il countdown fatto di film visti sul divano, lucine accese… e valigie che restano dove sono, finalmente al loro posto.
C’è, insomma, il popolo del Natale:
chi invita chi, a che ora si mangia, quanto dura il pranzo.
E poi ci sono i fuori sede.
I fuori sede.
Quelli per cui il Natale non si “organizza”: si attraversa.
A colpi di biglietti comprati mesi prima o all’ultimo minuto, prezzi che salgono come la pressione arteriosa, coincidenze improbabili e app di viaggio aperte più di WhatsApp.
Per un fuori sede il Natale inizia molto prima del 25.
L’incubo comincia quando ti chiedi: “Riuscirò davvero a tornare a casa senza finire in un documentario sugli aeroporti fantasma?”
Quando guardi il calendario e fai i conti con ferie, esami, lavoro e turni, magari prendendoti pure le antipatie dei colleghi perché hai bisogno di qualche giorno in più per la “traversata“.
Inizia quando Torino – come tutte le città universitarie – si svuota lentamente, mentre tu riempi uno zaino che non sembra mai abbastanza grande e che magicamente si riempie di biglietti stampati “per sicurezza”, notifiche di ritardi e coincidenze improbabili.
C’è chi torna a casa in macchina, con il bagagliaio pieno e la playlist giusta… (la playlist non serve a migliorare l’umore se il treno è in ritardo di 197 minuti, ma provateci lo stesso)
E c’è chi passa il Natale tra stazioni, aeroporti e tabelloni luminosi che sembrano avere un gusto particolare per i ritardi.
È lì che nasce una strana comunità temporanea:
quella di chi non è in vacanza, non è ancora a casa, ma sta semplicemente cercando di arrivarci.
Essere fuori sede non significa solo vivere lontano da casa.
Significa abitare una distanza.
Una distanza che a dicembre diventa fisica: chilometri, ore di attesa, binari, gate, tabelloni luminosi con un evidente accanimento personale contro di te.
Chi non è mai stato fuori sede pensa che viaggiare a Natale sia stressante per tutti.
Chi lo è, sa che è diverso.
Non è l’imprevisto del turista in vacanza.
È la rassegnazione di chi affronta prezzi altissimi, giri infiniti, ritardi e cancellazioni pur di rivedere la famiglia, la città, il posto da cui proviene.
Negli aeroporti di notte – serrande abbassate, bar chiusi, Coca Cola ormai calda – succede qualcosa di strano.
Ci si riconosce senza parlarsi.
Sguardi complici tra sconosciuti.
Ragazzi seduti sulle valigie.
Conversazioni che nascono dal nulla, come se ci si conoscesse da sempre.
Il popolo dei grandi viaggi, dei grandi ritardi e degli infiniti caffè bevuti “per ammazzare il tempo”.
Quelli con il biglietto in una mano e lo scontrino nell’altra.
Un tempo liminale (e una casa che si sposta)
C’è un momento preciso durante questi viaggi in cui realizzi che non sei davvero da nessuna parte.
Non appartieni alla città in cui vivi – Torino, con le sue luci fredde e i portici –
ma non appartieni nemmeno alla città da cui vieni.
Sei in mezzo.
In un tempo liminale che esiste da quando hai deciso di andare via.
Torni nella tua vecchia cameretta, magari identica a com’era anni fa, ma non ti senti a casa… non del tutto, mai.
Torni poi a Torino, e anche lì è casa… ma in modo diverso.
Essere fuori sede significa questo:
avere radici mobili.
Portarsele dietro, anche quando pensavi di averle sepolte.
Il Natale, alla fine, si completa sempre.
Magari alle quattro del mattino, tra la nebbia e un abbraccio stanco.
Magari con un volo cancellato, una navetta improvvisata (e sì, anche la navetta notturna fa parte dell’avventura) e una storia da raccontare.
Ma forse è proprio qui che sta il punto,
in quei viaggi di notte, negli aerei dirottati, nella lunga traversata.
Nel viaggio insomma.
E se vi serve un esempio positivo di come affrontare viaggi notturni e tempi liminali… guardate ai vampiri. Ne abbiamo parlato io e Massimo Potì proprio qui:
Casa non è un luogo solo
Crescere lontano da dove sei nato ti insegna una cosa fondamentale:
casa non è un indirizzo unico.
Può essere una cucina condivisa a San Salvario.
Un treno notturno.
Una risata con sconosciuti in aeroporto.
Perfino un Airbus che ti porta da qualche parte, sospeso tra cielo e terra.
Casa è dove scegli di stare – anche solo per un po’.
E può essere tanti posti diversi, in momenti diversi.
Torino, per molti, è uno di questi.
Forse la vera lezione è solo una: imparare ad abitare il viaggio.
E forse questa non vale mica solo per i fuori sede.
E se vuoi continuare a esplorare, anche solo con la fantasia, dai un’occhiata al nostro approfondimento sui viaggi. Anche un Airbus a320 può diventare un po’ casa…
E intanto…
buon natale.
Testo di Incoronata Galietti
Immagini CCO Public Domain
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